Critiche e stampa

“Nato ad Aosta, dove anche oggi vive e lavora, Vincenzo Calì è un artista dal curriculum ampio e prestigioso, con mostre importanti tenuta in spazi pubblici e privati di tutta Italia. Nelle sue opere il segno di un forte eclettismo stilistico e una nuova e poetica rivisitazione della Pop-Art. […] Il suo stile pittorico […] è vario e diversificato, libero e spontaneo. Così passa con disinvoltura dal Figurativo tradizionale all’Iperrealismo, dall’Espressionismo alla Pop-Art per giungere fino alla libera e sentita gestualità dell’Informale. Sempre, però, in ogni sua manifestazione prevale uno straordinario uso del colore, un cromatismo vivo e squillante che, per certi versi, sembra richiamare l’intensità dei Fauves e che dona luce, profondità e magia ad ogni sua opera.”
Luciano Carini (Studio Arte, dicembre 2021)

“Il linguaggio del nostro denota un’adesione all’espressionismo astratto in voga a New York agli inizi degli anni 60, con echi di artisti quali Joan Mitchell e Lee Krasner. Il suo stile possiede tutte le caratteristiche dei suoi predecessori: pennellate veloci, calligrafiche o sfumate con spessi strati di colore.”
Catalogo IV Triennale di Arti Visive di Roma, 2021

“Di recente l’iter stilistico del Maestro alpino si è spostato verso la decostruzione semantica di icone e personaggi famosi, con un ritorno alla ritrattistica della gioventù in matrice Pop Art rispetto all’espressionismo dei suoi primi lavori. Il suo linguaggio polisemantico ha destato l’attenzione di critica e pubblico, avendo esposto a Roma, Torino, Aosta e in molte altre città italiane. […] Vincenzo Calì si distingue per un linguaggio acuto ed ironico capace di approfondire argomenti considerati tabù con notevole spigliatezza sia nel tratto che nella narrazione. Sessualità e Cultura Pop trovano un equilibrio nell’intento di disvelare le contraddizioni della società contemporanea.”
Atlante dell’Arte Contemporanea, editore De Agostini, 2021

“Alla cura attenta dell’impaginato, si affianca una visione personalissima della realtà, che nelle ultime opere ha portato il pittore a innestare elementi legati allo scenario iconografico contemporaneo.”
Sandro Serradifalco (Artisti ’21 – Annuario Internazionale di Arte Contemporanea, Mondadori Editore, 2021)

“L’acceso cromatismo del decennio ottanta-novanta, rievoca indubbiamente i tratti stilistici dell’Espressionismo Tedesco di derivazione kirchneriana, attingendo nella campitura dei colori caldi, in particolare dei rossi sanguigni, e la stesura decisa e fluida del pennello, alla lezione dei Fauves.”
Licia Oddo (Artisti ’21 – Annuario Internazionale di Arte Contemporanea, Mondadori Editore, 2021)

“Si coglie nella sua produzione, una straordina­ria capacità di rendere la vivacità e l’intensità del ritrat­to del soggetto scelto, combinata ad un uso personale e mutevole del pigmento.”
Atlante dell’Arte Contemporanea, editore De Agostini, 2020

“Tra acrilici e pastelli, Calì conferma quanto sia vero quanto sosteneva Michelangelo Buonarroti, che «si dipinge col cervello e non con le mani». Il segno pittorico dell’aostano è, infatti, frutto dell’elaborazione concettuale di un’attrazione fatale verso l’universo femminile. Verso quella «origine del mondo», che, non a caso, è il titolo del ritratto della Stone che richiama l’omonimo primo piano di vulva femminile dipinto nel 1866 da Gustave Corbet.”
Gaetano Lo Presti (articolo su La Stampa del 5 dicembre 2019)

“L’arco di un’attività pittorica che si articola su alcuni decenni in modo non continuativo mostra necessariamente differenze di stile e di impostazione, ma la compresenza di astratto e figurativo non disturba, perché è unitario il metodo che è alla base di tutte le prove pittoriche dell’autore. Nasce innanzitutto in forma di parole e si trasforma in immagine prima di diventare visibile.
Pittore o non pittore, scrittore o non scrittore, ma senza dubbio testa pensante e autore di talento, Vincenzo Calì è di quelle persone a cui le etichette non si adattano.”
Giulio Cappa (servizio per il TGR Valle d’Aosta, ottobre 2016)

“Calì ha reso la forma tributaria del colore. Sacrifica il disegno alle squillanti e accese modulazioni della materia cromatica – spremuta dal tubetto e disposta in un fitto arabesco di grosse virgole o spatolata, appiattita con le dita e il palmo della mano o, ancora, stesa a rapidi tratti di pennello -, ma lo ricupera e nobilita fino al rilievo scultoreo, nel ritmico contrapporsi dei toni, nella sutùra degli audaci accostamenti.
S’impone alla memoria l’esperienza dei “Fauves”; e la loro eresia, il loro coraggio.”
Dionisio Da Pra (Articolo sulla mostra “Donne Rosse”, Aosta, 21-30 maggio 1989)

“I suoi nudi femminili, una lunga e densa pennellata rossa dalle spalle agli arti inferiori, lo situano tra gli espressionisti contemporanei.”
Aldo Spinardi (maggio 1988, Torino)

Critiche e stampa (testi completi)

Il pittore valdostano Vincenzo Calì nasce ad Aosta nel 1960 dove ancora oggi vive e lavora. L’arte è stata un elemento costante nella sua vita, i primi lavori lo vedono cimentarsi con la pittura ad olio che per anni ha costituito il suo medium artistico prediletto, attraverso una pennellata vibrante. Soltanto recentemente ha scoperto il colore ad acrilico, a suo parere più consono alla poetica sviluppata in maturità che vede una maggiore rilevanza degli accordi tonali dei suoi “scarabocchi”, in un linguaggio maggiormente volto all’entropia a discapito delle velleità figurali della giovinezza. Di recente l’iter stilistico del Maestro alpino si è spostato verso la decostruzione semantica di icone e personaggi famosi, con un ritorno alla ritrattistica della gioventù in matrice Pop Art rispetto all’espressionismo dei suoi primi lavori. Il suo linguaggio polisemantico ha destato l’attenzione di critica e pubblico, avendo esposto a Roma, Torino, Aosta e in molte altre città italiane. Vincenzo Calì esordisce alla fine degli anni ’80 con un fìgurativismo che si plasma attorno a forme umane le quali vengono realizzate mediante campiture ampie e distese, combinate con un tratto segnico lasciato all’essenzialità. La violenza comunicativa rimanda ai pittori delle correnti transavanguardiste in auge nella Germania degli anni ’80 conosciuti come i “Neue Wilden”. Calpestando le orme delle secessioni del periodo interbellico, i “Nuovi Selvaggi” recuperarono il figurativismo in reazione alla rapida ascesa dell’arte performativa, con un tratto brutale nell’apparato coloristico volto a sottolineare la crisi geopolitica di uno Stato orbitante nelle sfere d’influenza di Stati Uniti e Unione Sovietica. Con l’avvento del nuovo secolo le meditazioni del Maestro valdostano vertono sulla società di massa e sull’ingerenza dei moderni social media. Il suo lavoro inoltre vira maggiormente verso la ritrattistica immortalando personaggi del passato insieme ad icone della contemporaneità, mescolandoli con gli oggetti tecnologici del nuovo millennio al fine di inserirli in una rappresentazione del mondo che, a detta dell’artista, ha perso la sua autenticità materiale per divenire “emanazione olografica”. Le sue scenografie assumono quel velo di sottile ironia dalle ascendenze dadaiste. Nel 2011 decostruisce il mito dell’inventore Guglielmo Marconi, rappresentandolo con la homepage di Facebook sullo sfondo, nella composizione spicca l’ammiccante silhouette della Pantera Rosa, un ulteriore elemento provocatorio che, con lo sguardo, si rivolge direttamente agli astanti. Yalta Tv Show del 2013, ambienta la conferenza di Yalta all’interno dello studio televisivo del programma Ballarò con tanto di conduttore ben riconoscibile, la composizione stilisticamente richiama le dense tinte di Gino Bonichi mentre la coerenza nell’inserimento dei luoghi e dei volti originali è ascrivibile a quella declinazione artistica degli apparati multimediali che fu al centro delle ricerche di Andy Warhol. A tal proposito il Nostro sostiene: “Nelle mie opere provo a manipolare il trascorrere del tempo riconquistando la contemporaneità di tutti gli eventi e la commistione tra generi di epoche differenti. I miei soggetti sono contemporanei ma anche collocati lontani nella linea del tempo, con l’intento di immaginare lo spazio-tempo di Einstein e restituire relatività alle nostre azioni. Creo quindi un nuovo linguaggio, con segni inediti e fìgure che si affacciano come in un nuovo alfabeto di geroglifici. Il linguaggio informatico affiora prepotente, ma a dispetto della sua propensione al progresso rielabora messaggi elementari, tornando su passi lontanissimi della prima umanità. I colori puri, sempre presenti, rappresentano segnali che arrivano da un “di fuori” a noi sconosciuto”. Sulla missione dell’arte aggiunge: “L’arte registra lo smarrimento collettivo (…) e l’artista, pur essendo parte dello straniamento collettivo, ha il compito di visualizzarne sia le angosce che le speranze”. Questa sua capacità di decostruire concettualmente delicati aspetti antropologici e sociali si accompagna anche a richiami colti con le produzioni pittoriche del passato. The Origin of the World in VHS #4 del 2019 è una rivisitazione in chiave Pop dell’omonima tela di Courbet passata alla storia per il suo linguaggio esplicito. L’opera, realizzata con una colorazione edulcorata dai toni grigiastri in pastello, riprende direttamente la torbida fotografia voluta dal regista Paul Verhoeven, rappresentando l’iconica scena dell’interrogatorio del film Basic Istinct la quale consacrò il mito di Sharon Stone con l’archetipo della sensualità femminile negli anni ’90. Di recente la ricerca comunicativa di Vincenzo Calì ha abbandonato le strutture compositive ben definite della sua produzione usuale per sperimentare le multiformi possibilità espressive dell’informale. New Languages, attinge dalla corrente del tachisme in voga in Francia nella seconda metà del XX secolo, in essa il maestro alpino palesa il suo personale codice alfabetico criptico, i profondi segni neri richiamano l’opera di Giuseppe Capogrossi, dalla quale Calì si discosta nettamente utilizzando una tavolozza più variegata. Lo spettatore si ritrova dinanzi ad un messaggio cifrato espresso in una lingua da decodifìcare, il tema costituisce una critica verso la comunicazione virtuale che invece di unire contribuisce all’isolamento e all’alienazione. Vincenzo Calì si distingue per un linguaggio acuto ed ironico capace di approfondire argomenti considerati tabù con notevole spigliatezza sia nel tratto che nella narrazione. Sessualità e Cultura Pop trovano un equilibrio nell’intento di disvelare le contraddizioni della società contemporanea.
Atlante dell’Arte Contemporanea, editore De Agostini, 2021, pag.52.


Vincenzo Calì nasce ad Aosta nel 1960, attratto dal mondo dell’informatica il Nostro si trasferisce a Torino dove consegue la laurea in Ingegneria Elettronica. Durante il soggiorno piemontese si divide fra università e pittura, frequentando lo studio del maestro locale Giovanni Cravanzola. Rispetto al figurativismo più edulcorato del maestro torinese, Calì sviluppa un’espressività maggiormente dirompente che guarda principalmente all’estetica dei Fauves e dei Neue Wilden, la nuova generazione della transavanguardia tedesca. Le prime opere del valdostano ci mostrano una narrativa improntata sull’aspetto umano, quivi proposta esaltando l’aspetto delle pulsioni legate alla carnalità e al fluire libero dell’emotività. Al termine degli anni ’90 Vincenzo Calì approda alla cultura Pop con una semantica volgente alla traslazione di personaggi ed eventi storici all’interno di cornici odierne. A suo dire emanciparsi nel panorama artistico contemporaneo è un’impresa ardua poiché ogni genere e topos scenografico è stato abbondantemente approfondito negli aspetti più reconditi, tuttavia egli riesce a distinguersi per l’originalità delle sue tematiche, intrise di quello humor sardonico tipico del New Dada. In questi bizzarri teatri da lui dipinti il conduttore televisivo Giovanni Floris ha l’onore di ospitare, nello studio del suo talk show, la conferenza di Yalta, mentre in un’altra opera il valdostano decostruisce la figura iconica del pluripremiato inventore Guglielmo Marconi dipingendolo nella home di Facebook. La passione per l’informatica non abbandona Vincenzo Cali nel corso della sua carriera artistica, parallelamente alla sua attività di pittore insegna la materia negli istituti superiori della sua città natia. Ispirato dai calligrafismi essenziali dei codici binari il Nostro abbandona il figurativismo per approdare all’informale, sperimentando attraverso l’acrilico una pittura basata esclusivamente sul segno, a discapito dei volumi e dello storytelling della sua fase precedente. A metà strada fra la satira e l’espressionismo la sua produzione ha ricevuto importanti consensi di critica e pubblico, testimoniato dalla sua consistente attività espositiva personale, della quale si menzionano a titolo non esaustivo: “Gesti Colorati”, Spazio MostrArti, Roma, 2012; “#Iam(not)aPainter”, FinAosta, Aosta, 2016; la bipersonale “Antipodes”, Sala espositiva FinAosta, Aosta, 2018; Esposizione Triennale di Arti Visive a Roma, Palazzo Borghese, 2021.

Atlante dell’Arte Contemporanea, editore De Agostini, 2021, pag.281.


Nato ad Aosta, dove anche oggi vive e lavora, è un artista dal curriculum ampio e prestigioso, con mostre importanti tenuta in spazi pubblici e privati di tutta Italia. Nelle sue opere il segno di un forte eclettismo stilistico e una nuova e poetica rivisitazione della Pop-Art.
Il mio incontro con l’arte di Vincenzo Calì è avvenuto alla recente Triennale di Roma dove, per la terza volta consecutiva, ero stato chiamato a far parte della Commissione Scientifica. Mi ha colpito quel grande quadro dalle tinte forti e cangianti percorso da segni e crettature che campeggiava su una parete di Palazzo Borghese: una tecnica mista eseguita ad olio e acrilico con forti sciabolate di verdi, gialli e rossi. Sono tornato una seconda volta ad ammirare quel dipinto e poi la decisione di chiamare l’artista ad esporre nella mia galleria. Grande la mia sorpresa quando, entrando in modo più approfondito nella sua espressione artistica, mi sono trovato di fronte ad un mondo variegato e complesso, ad un percorso culturale ed esperienziale vario e interessante. Nato ad Aosta, dove anche oggi vive e lavora, Vincenzo Calì è sempre stato affascinato dall’arte, una passione incoercibile e irrefrenabile, la sua, che ha trovato nella pittura la strada ideale per comunicare emozioni, sensazioni e desideri, per trasmettere agli altri la propria visione della vita, del mondo e delle cose. E forse proprio per queste ragioni il nostro artista ha scelto di realizzarsi attraverso una formazione non accademica, ma libera ed autonoma, per essere fino in fondo se stesso, autentico e vero. Pittura, dunque, come scelta di vita, sfida alle convenzioni sociali, ricerca di verità. Un impegno creativo, quello di Vincenzo Calì, non condizionato dalle mode del momento ma che, al contrario, segue solo ed esclusivamente il filo delle sue emozioni e delle sue sensazioni, del suo “fare artistico” e che si traduce quindi in un eclettismo stilistico ed in un sincretismo pittorico che gli consentono di attingere liberamente da più parti e/o dai più svariati Movimenti artistici del nostro novecento. Così nella sua vasta produzione troviamo presenti tantissime e diversificate tecniche, dal disegno al pastello, dall’olio alle tecniche miste. Tutto questo rivela la sua grande esperienza e il suo grande mestiere acquisito in anni e anni di ricerca e di studio assiduo e costante. Lo stesso vale per il suo stile pittorico che, come dicevo appena prima, è vario e diversificato, libero e spontaneo. Così Vincenzo passa con disinvoltura dal Figurativo tradizionale all’Iperrealismo, dall’Espressionismo alla Pop-Art per giungere fino alla libera e sentita gestualità dell’Informale. Sempre, però, in ogni sua manifestazione prevale uno straordinario uso del colore, un cromatismo vivo e squillante che, per certi versi, sembra richiamare l’intensità dei Fauves e che dona luce, profondità e magia ad ogni sua opera. Forti, potenti e scenografiche sono inoltre le sue figure di evidente area Espressionista ma reinventate e interpretate con straordinaria freschezza e modernità.
Qui il nostro artista rivela in modo chiaro ed evidente tutta quanta la sua sicurezza esecutiva e la sua indiscussa sensibilità interpretativa: queste figure portano dentro il peso della vita, le avversità del destino, le sconfitte e le delusioni dell’esistenza ma anche sensualità, gusto del bello e dell’armonia estetica. Nelle opere di questo artista, insomma, c’è sempre grande partecipazione e grande sensibilità interpretativa, anche quando affronta tematiche ed argomenti legati alla Pop-Art: quando, cioè, con
straordinaria abilità, traccia figure, profili e visioni che fanno parte dell’immaginario collettivo e del nostro vivere quotidiano. Qui i colori si accendono rivelando tutta la loro purezza e pulizia, mettendo chiaramente in evidenza contrasti, luci e forza espressiva. Si tratta di opere che, per le loro caratteristiche esecutive, sembrano richiamare i grandi interpreti di questo importante Movimento, ma recano dentro nuova vitalità e nuove, inaspettate soluzioni, diventano strada e percorso per dare nuovo valore e significato all’immagine potenziandone la forza evocativa. Pittura intensa e sentita, dunque, questa di Vincenzo Calì, fatta di forza espressiva e di straordinario gusto cromatico, ma anche di ricercata eleganza formale e di poetica leggerezza. Così le sue figure e i suoi soggetti, percorsi da miriadi di colori e attraversati da tagli improvvisi di luce, rivelano grande partecipazione emotiva unita sempre ad un approfondito e meditato studio interiore. Ogni tanto Vincenzo si cimenta pure nell’espressione Informale ricorrendo a tecniche raffinate e complesse, all’uso di materiali diversi e innovativi. Anche in questi casi l’artista rivela contenuti profondi, grande senso lirico e un gusto compositivo capace di attrarre e affascinare l’osservatore perchè accompagnato sempre da un’intima e profonda emozione, da una
ricerca vera e concreta di libertà e di eterna giovinezza.

Luciano Carini (Studio Arte, dicembre 2021)


Il linguaggio del nostro denota un’adesione all’espressionismo astratto in voga a New York agli inizi degli anni 60, con echi di artisti quali Joan Mitchell e Lee Krasner. Il suo stile possiede tutte le caratteristiche dei suoi predecessori: pennellate veloci, calligrafiche o sfumate con spessi strati di colore. Nell’opera presentata Calì utilizza colori ad olio generando luminose cromie dai toni eccentrici laddove i profondi segni neri richiamano quasi l’opera di Giuseppe Capogrossi, dalla quale l’artista si discosta nettamente utilizzando una tavolozza più variegata. Lo spettatore si ritrova dinanzi ad un messaggio cifrato espresso in una lingua volutamente incomprensibile, simile ai codici binari che regolano i software informatici.
Critica sul catalogo della IV Triennale di Arti Visive a Roma (2021)


Le ricerche di Vincenzo Calì hanno portato alla codificazione di un lessico realista, sviluppando una figuratività che prevede la trasposizione sul supporto attraverso una attrattiva restituzione segnica e pittorica. Alla cura attenta dell’impaginato, si affianca una visione personalissima della realtà, che nelle ultime opere ha portato il pittore a innestare elementi legati allo scenario iconografico contemporaneo.
Con colori densi e un segno deciso, Calì dà forma alle figure che abitano l’opera, mentre lo sfondo resta indeterminato, tratteggiato da sfumature tono su tono. Nei disegni su carta eseguiti a pastello le campiture si stemperano le une nelle altre o si affiancano come tante tessere di un mosaico. Assistiamo quindi a positive contaminazioni pop che rappresentano trait d’union tra i lasciti stilistici della tradizione e le più attuali esigenze narrative. I soggetti rappresentati perdono in tal modo la loro appartenenza al mondo fenomenico, per essere proiettati in un’atmosfera alle volte onirica che trasforma in linguaggio visivo le emozioni dell’artista. Calì pone molta attenzione alla cura dei particolari e a riportare sullo spazio pittorico la molteplicità degli elementi che costituiscono la sua visione. 
Sandro Serradifalco (Artisti ’21 – Annuario Internazionale di Arte Contemporanea, Mondadori Editore, 2021)


Chiave di volta della cifra stilistica di Calì è senza dubbio il binomio tradizione – innovazione che si colora degli aspetti più consueti dell’attualità quotidiana, quasi un recupero del passato di quel “Die Brucke”, per vedere in modo nuovo ciò che già si conosce. L’acceso cromatismo del decennio ottanta-novanta, rievoca indubbiamente i tratti stilistici dell’Espressionismo Tedesco di derivazione kirchneriana, attingendo nella campitura dei colori caldi, in particolare dei rossi sanguigni, e la stesura decisa e fluida del pennello, alla lezione dei Fauves. Un linguaggio il suo, che, rispetto agli sviluppi artistici della seconda metà del secolo scorso, ritorna ad un figurativo tradizionale neoespressionista, di Transavanguardia. La rapidità del gesto nella tecnica del pastello consente una certa libertà di variazione su tema, curiosi ghirigori mescolati a intere frasi, accentrano un personaggio protagonista della letteratura – esaltazione alla comunicazione che si inventa e si scopre sempre più attuale nel ritratto piuttosto impostato di Alessandro Manzoni, alle cui spalle una TV trasmette il cartone animato dei Simpson, studiato nell’accostamento di una scelta intellettuale. Stessa modalità per il ritratto di Guglielmo Marconi, pioniere delle telecomunicazioni, unitamente ad un’arguta pantera rosa, cult tra eleganza e impertinenza nella visione cinematografica investigativa di eroina, che, funge da tramite nel passaggio all’approdo finale del “principe dei social”: Facebook.
L’ispirazione al grande Merisi ancora una volta non è causale, Calì esalta il dramma del martirio nella sua dimensione agonistica, del male sofferto, del dolore fisico inflitto dalle percosse del pugile sconfitto, giacente al “tappeto” attraverso un parallelismo agli agoni sportivi greci, componente essenziale della realtà teatrale, riscoprendosi sempre più eclettico artista del suo tempo a cavallo tra passato e moderno.
Licia Oddo (Artisti ’21 – Annuario Internazionale di Arte Contemporanea, Mondadori Editore, 2021)


Vincenzo Calì si avvicina all’arte sin da bambino, su­bendo la fascinazione della pittura cui si dedica con infaticabile passione. Nella fase iniziale della sua ricer­ca la materia prediletta è il colore ad olio. Analizzato e sperimentato nelle più varie declinazioni, da campitura piatta e distesa a tocco rapido ed aggettante di pigmento puro, il nostro se ne serve per dare vita a composizioni originali e con una vigorosa componente plastica. Pur non scegliendo la via dell’astrazione, ma prediligendo la figurazione mimetica del dato di realtà, egli pervie­ne ad una ricerca personale che consente alle sue rap­presentazioni di non qualificarsi come mera imitazione, ma di divenire proiezione di un universo personale. La sperimentazione sulle infinite possibilità di combina­zione del pigmento lo conduce ad utilizzarlo anche in maniera inusuale: eliminando la barriera del pennello e plasmando la materia direttamente con le mani, abbat­te qualsivoglia distanza tra il pittore e il colore puro, in un tentativo di osmosi e compenetrazione tra creazione e oggettivazione. Negli ultimi anni ha riscoperto l’uso dei colori acrilici e dei pastelli, i quali consentono di re­stituire un universo segnico potente e mutevole. Tra i suoi soggetti prediletti si notano i ritratti di personaggi famosi del passato singolarmente giustapposti con icone del nostro tempo, quali cartoni animati e oggetti tecno­logici moderni. Il risultato è quindi quello di provocare un senso ironico di straniamento e di confusione nell’ os­servatore che vede coesistere realtà incongrue, nel ten­tativo di restituire una rappresentazione olografica del mondo. Si coglie nella sua produzione, una straordina­ria capacità di rendere la vivacità e l’intensità del ritrat­to del soggetto scelto, combinata ad un uso personale e mutevole del pigmento. Tra le esposizioni personali dell’artista rammentiamo sinteticamente: “Seduzioni”, Galleria Area Contesa Arte, Roma, 2019; la bipersona­le “Antipodes”, Sala espositiva FinAosta, Aosta, 2018, “#Iam (not) a Painter”, FinAosta, Aosta, 2016; “Gesti Colorati”, Spazio MostrArti, Roma, 2012.
Atlante dell’Arte Contemporanea, editore De Agostini, 2020


La parabola artistica di Vincenzo Calì segue una traiettoria originale e inconsueta. Le sue prime esperienze pittoriche risalgono alla fine degli anni Ottanta. Questa sua prima fase esecutiva colpisce l’osservatore per la carica e il vigore, non solo del tratto, ma anche del colore. La pennellata è generalmente larga, ben visibile e rintracciabile sul supporto di riferimento; i colori sono accesi o comunque a contrasto. Peculiarità del genere lo accomunano all’espressionismo tedesco. Si tratta di una pittura ben lieta di trattare soggetti differenti: nature morte, nudi, maschili e femminili, animali in corsa. L’autore qui analizzato è in tal senso variamente ispirato. Nel caso della trattazione della figura umana, soprattutto muliebre, la vena erotica è palese. In Red Woman, Red Woman 2 e Red Woman 3 il sesso femminile, così come il seno turgido vengono svelati con naturalezza. La preminenza del colore rosso in lavori di questo genere è da ricollegarsi alla passionalità e alla carnalità ad esso associato. Tali donne, diversamente atteggiate, a volte restituite in pose anche ardite, non risultano tuttavia volgari. Mi piace pensare a Red Women come ad una diversa prospettiva di Un bar aux Folies Bergeres, la celebre opera di Manet del 1882. In lavori di questo genere la linea, pur essendo accentuata, non è esasperata; anzi, spesso si rivela sinuosa e tratteggia flessuosamente la fisicità femminile. In Red Woman 3 c’è, invece, maggiore spigolosità, indice forse di una maggiore e diversa carica emotiva nel momento esecutivo.
Intensa è pure Red Forest: lo spiccato slancio dei tronchi dipinti verso l’alto la fa divenire una sorta di cattedrale gotica naturale. In Cheetah, invece, emerge un’attenzione particolareggiata al movimento, un’indagine mutuata dalla corrente futurista. Notevoli anche le succitate nature morte: gli oggetti in primo piano emergono per contrasto dallo sfondo scuro, con elementi stranianti quali gli occhi scrutatori dell’artista. Il topos del memento mori è in questo caso trattato con personalità dall’esecutore.
Nella produzione più recente, l’esecutore muta stilemi, ma viva e presente è la componente psicologica. Il mondo femminile non smette di attrarlo; ad esso si dedica in maniera rinnovata.
Colpisce sicuramente la figurazione, in taluni casi meno stilizzata. Se prima le sensazioni suscitate nel fruitore venivano a dipendere da uno schema lineare ridotto, abbinato ad un essenziale stesura cromatica, che tuttavia non rinunciava ad una tridimensionalità sua propria, ora importanza primaria viene affidata alle espressioni. In ciò l’uso del pastello si dimostra all’altezza. Protagonisti di siffatte opere divengono non di rado icone del mondo di oggi: attori, attrici, band famose. In tal senso, il pittore è ideologicamente vicino alla Pop Art.
Davanti l’iconica Sharon Stone di Basic Instinct, che lascia intravedere i genitali, intavolo un confronto con l’origine del mondo di Courbet: se in quest’ultimo caso il sesso viene mostrato e rappresentato in maniera fortemente realistica, senza orpelli né componenti fascinose, la tela di Calì, così come il film cui si è ispirato, tira invece in ballo la tematica della dark lady, la donna dominatrice, sicura di sé, dinanzi alla quale l’uomo, inerme, è destinato a soccombere. In altri casi, invece, emerge la femme fatale, che, a differenza della prima, non è foriera di morte, seppur condivida con la prima una spiccata tendenza alla lussuria
.
Ivan Caccavale (Storico e critico d’arte, curatore, Roma, 2020).


È un ritratto della Sharon Stone del thriller erotico «Basic Istinct» il simbolo della mostra che domani Vincenzo Calì inaugurerà, alle 18,30 alla Smart Gallery Store Inarttendu di Via Martinet 6. Nel 1992, accavallando le gambe, senza indossare biancheria intima sotto il corto abito bianco, per sedurre dei poliziotti che la interrogavano l’allora trentaquattrenne attrice entrò nell’immaginario collettivo cambiando la geografia del desiderio al cinema. Esempio mirabile di seduzione, quell’incantesimo che, come ha scritto Francesco Alberoni, «risveglia il desiderio dell’altro e lo fissa su di sé».
«Seduzioni» è anche il titolo che il cinquantanovenne aostano ha dato alla mostra, che, ad ottobre, ha già riscosso un buon successo a Roma, nella galleria Area Contesa Arte di via Margutta 90. Ingegnere elettronico, insegnante, organizzatore di spettacoli, scrittore, blogger e politico Calì ha cominciato nel 1989 ad esporre una serie di oli in cui c’era già traccia del «pansessualismo espressionistico» di cui ha parlato il critico Ivan Caccavale. ln questa mostra lo fa con maggiore consapevolezza, lasciando capire che dopo la seduzione c’è quasi sempre l’abbandono. Seduzione che è questione di gesti e momenti. Come lo slacciarsi il reggiseno di «Just a moment» o il più o meno fortuito venir fuori di un capezzolo di «Ops». O, ancora, lo sguardo di sfida di «Ritratto in salita» o l’apparente altrove intellettuale di un corpo seminudo languidamente sdraiato su un divano. «A futura memoria» riproduce, infine, lo spogliarello della squillo interpretata da Sophia Loren in «Ieri, oggi, domani» di fronte al suo affezionato cliente Marcello Mastroianni. Nella decina di quadri esposti, tra acrilici e pastelli, Calì conferma quanto sia vero quanto sosteneva Michelangelo Buonarroti, che «si dipinge col cervello e non con le mani». Il segno pittorico dell’aostano è, infatti, frutto dell’elaborazione concettuale di un’attrazione fatale verso l’universo femminile. Verso quella «origine del mondo», che, non a caso, è il titolo del ritratto della Stone che richiama l’omonimo primo piano di vulva femminile dipinto nel 1866 da Gustave Corbet.
Gaetano Lo Presti (articolo su La Stampa del 5 dicembre 2019).


Come se una macchina del tempo fosse intervenuta per ribaltare la scena della crocifissione di San Pietro di Caravaggio, sul ring dove Mohammed Alì Cassius Clay ha appena messo a terra un avversario.
Oppure dove uno sfacciato Diego Armando Maradona scaglia con un pugno un bolide contro i lancieri della battaglia di San Romano di Paolo Uccello.
Si capisce subito che siamo entrati in un posto molto particolare: è la mostra personale di Vincenzo Calì nella sala espositiva della Finaosta, intitolata “I am (not) a Painter”, “(non) sono un pittore”, con il <non> tra parentesi.
Gli accostamenti inconsueti sono molti tra la trentina di quadri esposti, parentele spazio temporali rivelate da uno spirito ironico che si diverte un mondo a dipingere i cortocircuiti della sua fantasia.
Don camillo e Peppone al grande fratello, Coppi e Bartali sulla luna con l’apollo 11, i tre di Yalta in un talk show, Alessandro Manzoni e i Simpson, Guglielmo Marconi con la pantera rosa su facebook.
Altre stagioni e altri incontri tra parole e raffigurazioni troviamo nella serie di “volti”, dove lo stesso sfondo del ritratto è sempre e comunque un testo.
Oppure con le scene intitolate “l’amore al tempo della crisi”, piene di piccole figure da scoprire.
L’arco di un’attività pittorica che si articola su alcuni decenni in modo non continuativo mostra necessariamente differenze di stile e di impostazione, ma la compresenza di astratto e figurativo non disturba, perché è unitario il metodo che è alla base di tutte le prove pittoriche dell’autore. Nasce innanzitutto in forma di parole e si trasforma in immagine prima di diventare visibile.
Pittore o non pittore, scrittore o non scrittore, ma senza dubbio testa pensante e autore di talento, Vincenzo Calì è di quelle persone a cui le etichette non si adattano.
Giulio Cappa (servizio per il TGR Valle d’Aosta, ottobre 2016)


Le scelte iconografiche e cromatiche di Vincenzo Calì costituiscono lo spazio ideale della sua sperimentazione artistica.
In effetti di sperimentazione si deve parlare, per quel suo costante “confronto” con temi di figura, dagli attori ai corpi nudi di donna, nonché con la materia del colore ad olio, ora distesa a grosse pennellate in cui è facilmente ripercorribile la forza del gesto per quei non finiti e le subitanee riprese, ora raddensata in grumi turgidi di sostanza quasi ad ottenere un effetto decorativo plastico, come nel lavoro dal titolo “Amore” (1988).
Le rese cromatiche di Calì nascono dal particolare rapportarsi di forma e luce, a volte a favore di una ricca vibrazione tattile come in “Foresta Rossa” e “Paesaggio“, altre invece in chiave dichiaratamente plastica: il colore è materia, manifestazione di vitalità fisica, la carne ‘vive e si consuma offrendosi’. Un’offerta consapevole degli eventuali “Applausi” o degli “Assolo” di chi lavora sul segno proponendolo quale forza prorompente e già ritorta su se stessa in un ritorno senza stacco sul segno appena tracciato, sulla linea che per prima ha generato ed ora si raccoglie per una nuova fioritura. Si tratta di ‘fiori della luce’, di corpi sbocciati sotto la vivida luce di ascendenza caravaggesca (“luci dal Passato”). Sono il mondo stesso e la sua innata forza creatrice a tracciare le maglie della ricerca personale e al contempo artistica di Vincenzo Calì. Le ‘voci’ che parlano vanno componendosi lentamente in un unico registro sempre più definito nei temi come nelle pennellate di colore.
Da sempre, la pittura così gestuale ed immediata affascina Calì, permettendogli di varcare i limiti quantificabili e scientificamente definiti della sua attività professionale. L’arte entra nella vita e la trasforma.
Manuela Cusino (Articolo sulla mostra “Donne Rosse”, Aosta, 21-30 maggio 1989)


PANSESSUALISMO ESPRESSIONISTICO.
L’officina pittorica di Vincenzo Calì opera, al momento, dietro l’insegna della sperimentazione.
I risultati non presentano, tuttavia, il carattere del provvisorio. Prove e verifiche sono indirizzate alla ricerca di un modulo espressivo che sia docile veicolo  dell’ispirazione  e concernono in sottordine, fuori di un progetto definito, lo scavo tematico e il perfezionamento delle tecniche. Si capisce, infatti, che il mestiere si è assodato attraverso un tirocinio di lunga lena, sostenuto dal perenne confronto con l’opera dei grandi maestri. I richiami sono appena rintracciabili, a riprova della robusta personalità artistica di Calì. Non tragga in inganno l’approssimazione di certe immagini che riempiono alcuni dei suoi quadri e sembrano evocate al limite del giuoco crittografico, suggerite appena da un configurarsi fortuito di freghi stizzosi, d’infantili ghirigori. Quella  rarefazione formale è il segno d’una pletora di emozioni che non sono rappresentabili con l’immagine statica, pedissequamente eseguita, ma trovano esito espressivo proprio in un ammatassarsi tumultuoso di linee, nell’arruffio dei profili.
Dal caos apparente Calì fa emergere l’oggetto del desiderio. È la donna, grande polo d’attrazione del suo immaginario, parafulmine delle sue inquietudini. E proprio lei, perenne musa e seduttrice, costituisce l’universo indagato sin nelle sfaccettature e nelle pieghe più intime. Si veda, infatti, la teoria delle figure monocromatiche, rosse in prevalenza, beneficate dalla forza plastica e costruttiva del colore. Immagine dietro immagine, Calì esplora, senza alcuna volgarità, anzi con l’occhio insieme tenero e impietoso di un amante, le grazie femminili, come si mettono a nudo nel talamo o nella solitudine. La lente d’ingrandimento indugia sul particolare, perchè l’esteta, sedotto dall’eterno femminino, non si appaga del primo colpo d’occhio, ma fruga e rivolta, alla ricerca dell’essenza ultima, immutabile. La donna è il leitmotif che percorre l’intera opera pittorica dell’artista. Gli stessi paesaggi sembrano orchestrati da segmenti di curvilinei femminili. In realtà, Calì ha reso la forma tributaria del colore. Sacrifica il disegno alle squillanti e accese modulazioni della materia cromatica – spremuta dal tubetto e disposta in un fitto arabesco di grosse virgole o spatolata, appiattita con le dita e il palmo della mano o, ancora, stesa a rapidi tratti di pennello -, ma lo ricupera e nobilita fino al rilievo scultoreo, nel ritmico contrapporsi dei toni, nella sutùra degli audaci accostamenti.
S’impone alla memoria l’esperienza dei “Fauves”; e la loro eresia, il loro coraggio.
Dionisio Da Pra (Articolo sulla mostra “Donne Rosse”, Aosta, 21-30 maggio 1989)


Vincenzo a 29 ans. Ses «Femmes rouges» aussi! Premier contact avec son expo à la Salle D’Art Communale: Tiens, il est brouillon, le petit Vincent! Et puis, l’oeil accroche… Ça vibre, du coté de la palette indisciplinée -et de la facture rebelle qui défie les règles académiques de la Peinture moderne.
Sa «Femme après l’amour» ose le nu, le téton haut et la fesse exhibée mais le trait de la main arrête le voyeur dans un sursaut pudique.
Sensible jusqu’à l’introversion, le jeune peintre joue l’exhibitionnisme des tons crus, pour s’affirmer dans la quète d’un art qui le tient jusqu’au fin fond de l’âme.
«Mes yeux», son autoportrait, volontairement dévalorisant, est un hommage maladroit au grand Vincent et à l’inspiration Van Goghienne ; Calì sacrifie, tout de mème, la fameuse oreille coupée! De très bons essais, à l’encre et au feutre – rouge!! – nous font penser que… si la soif de déroger aux lois cruelles de l’Art moderne ne le dépassent pas, il ira loin… Vincenzo Calì.
Avec du travail et un peu de discipline, le rendez-vous est pris pour dans 2 ans d’ici…
Gageons qu’alors la joie de vivre se verra moins, mais que le réel talent qui couve sous la toile y sera, cette fois-ci, plus évident encore.
Mr.Ni. (Articolo su “La Vallée Notizie del 27 maggio 1989)


«Donne rosse è il titolo della prima personale di Vincenzo Cali, ventinovenne artista valdostano che espone da domani fino al 30 maggio prossimo presso la saletta d’arte comunale di via Xavier de Maistre, ad Aosta.
Le parole non sono sufficienti a descrivere lo stile di quest’artista emergente, che il critico Aldo Spinardi ha definito uno degli «espressionisti contemporanei». Il nudo femminile, soggetto preferito dal pittore, richiama alla memoria le eroine negative di Moravia, perverse e sfuggenti per la loro ingenuità.
La scelta cromatica è abilmente giocata attraverso le tonalità del rosso, attraverso cui Vincenzo Calì comunica la passione del piacere solitario nell’intensa espressività di un labbro femminile: hanno qualcosa di mitologico le forme appena sfumate da grosse pennellate distese, dalle quali si intuisce la bestialità di  un  rapporto sessuale fra la ninfa e il centauro dallo sguardo lontano: una forte carica erotica pervade, seppur in maniera diversa, Autoritratto», dove anche predomina il rosso. Meno forte, ma altrettanto tangibile la stessa carica, soffusa di dolcezza. è comunicata ne «I miei occhi», opera nella quale l’artista dà prova di grande capacità tecnica. Ed eccolo cambiare soggetto e proporre paesaggi dove non viene meno la vivacità; il «Paesaggio» che l’artista descrive non è mai tranquillo, ma opulento e comunica una forte carica di vitalità, maggiormente percepibile in «Villaggio», in cui il gesto dell’artista diventa un percorso obbligato, senza per questo porre confini o limiti alla fantasia; la stessa manifestazione di vitalità  fisica si percepisce in «Applausi” dove si coglie la precisa definizione dei ruoli e l’ovazione del pubblico si confonde con l’anelito dei teatranti .
Grazia Ruiu (Articolo su “La Vallée Notizie del 20 maggio 1989)


Sin da bambino affascinato dall’arte e dalla pittura, Vincenzo Calì è riuscito dopo anni di amore e lavoro a raggiungere i risultati sperati, le giuste combinazioni cromatiche, lo stile spesso e personale da cui procedere nella ricerca.
Dopo le prime comparse in mostre collettive finalmente nel maggio di quest’anno la sua prima esposizione, quella stessa che dal 10 novembre sarà ospite del Roclò. Donne rosse ne è il titolo emblematico.
Il neoespressionismo di Cali prende forma dagli slanci istintivi dei sentimenti, facendo emergere dal colore donne pas­sionali, rosse di erotismo tangibile e silenzioso, rarefatto e interiore come un respiro trattenuto oltre che precede l’azione, l’aggressione.
La costante donna, morbide curve impastale da lunghe e accese pennellate in tributo ai caldi toni, al gioco vivo di luci, si intravvede anche nelle morbidezze dei paesaggi, delle nature morte che parlano un linguaggio di eros.
Bruna Airaldi (Articolo sulla mostra “Donne Rosse” al “Roclò”, novembre 1989, Torino)


I suoi nudi femminili, una lunga e densa pennellata rossa dalle spalle agli arti inferiori, lo situano tra gli espressionisti contemporanei.
Aldo Spinardi (maggio 1988, Torino)